Santa Claus nel "ciclo dei dodici giorni": una lettura antropologica

Babbo Natale è vestito di rosso scarlatto: è un re. La sua barba bianca, le sue pellicce e i suoi stivali, la slitta nella quale viaggia, evocano l’inverno. Lo si chiama “Babbo” ed è vecchio, quindi incarna la forma benevola dell’autorità. […] In realtà, questo essere soprannaturale e immutabile, fissato una volta per tutte nella sua forma […], è la divinità di una classe di età della nostra società, e la sola differenza tra Babbo Natale e una divinità è che gli adulti non credono in lui, sebbene incoraggino i bambini a crederci e alimentino tale credenza con molte mistificazioni.

Claude Lévi-Strauss, Babbo Natale suppliziato, in Razza e storia e altri studi di antropologia, Torino 1967, p. 254

Un episodio di cronaca apparentemente irrilevante, ma che trovò ampio risalto sui quotidiani della Francia di metà Novecento, è stato oggetto di una delle poche analisi sulla figura di Babbo Natale che l’antropologia abbia prodotto, e che reca la firma di Claude Lévi-Strauss. Nel folgorante saggio Babbo Natale suppliziato lo studioso francese chiama a tema di studio l’articolato processo della “costruzione della tradizione”, individuandolo però entro un campo di analisi sotto gli occhi di tutti, tanto familiare da essere quasi impenetrabile al nostro pensiero critico, che pure si è a lungo esercitato in riflessioni complesse sull’altro, sul lontano, sul “primitivo”.

La notizia che ha stimolato Lévi-Strauss a rivolgere lo sguardo sul “noi” apparve il 24 dicembre 1951 sul quotidiano «France Soir»:

Babbo Natale è stato impiccato ieri pomeriggio alle grate della cattedrale di Digione e bruciato pubblicamente sul sagrato. Questa spettacolare esecuzione si è svolta alla presenza di molte centinaia di bambini dei patronati. Era stata decisa in accordo con il clero, che aveva condannato Babbo Natale come usurpatore ed eretico. L’accusa rivoltagli era di paganizzare la festa del Natale e di essersi insediato in essa come un cuculo occupandovi sempre maggior posto. Gli viene rimproverato soprattutto di essersi introdotto in tutte le scuole pubbliche da cui il presepio è completamente bandito.

L’olocausto ordinato dalle autorità ecclesiastiche come contromisura all’offuscamento del senso cristiano della Natività serve all’antropologo per tentare di decostruire l’intricata rete di carichi semantici che, in tempi e luoghi diversi, si sono integrati e giustapposti fino a comporre la figura del bonario e munifico vecchio che conosciamo sotto il nome di Babbo Natale / Santa Claus, alcuni aspetti del cui “culto” – dopo il decremento della ritualità collettiva registratosi negli anni Settanta-Ottanta – hanno in anni recenti subìto una rilevante amplificazione presso le società industrializzate. In particolare, il consumo vistoso individuato da Thorstein Bunde Veblen come comportamento economico preferenziale della classe agiata si è stratificato sui preesistenti valori del dono come elargizione e indicatore di reciprocità, assecondando in ciò il modello dominante del consumismo di matrice nordamericana. Non a caso è proprio negli Stati Uniti che, dopo un percorso lunghissimo iniziato nella Roma dei Saturnali, la figura di Santa Claus ha definitivamente acquisito la strumentazione espressiva e i caratteri iconografici che oggi la caratterizzano.

In realtà, l’ascendente diretto di Santa Claus è un personaggio storico, il vescovo Nicola di Mira, vissuto forse nel IV secolo d.C. ma il cui culto assunse un certo rilievo in Oriente nel VI secolo e in Occidente (Roma e Italia meridionale, Germania, Francia e poi Inghilterra) a partire dal IX, fondandosi su un sostrato di religiosità pagana e nascendo probabilmente dal processo di cristallizzazione delle feste collegate al solstizio d’inverno, che nell’antica Roma erano presiedute da Saturno. I Saturnali venivano celebrati nella settimana tra il 17 e il 20 dicembre, prolungandosi in epoca imperiale fino al 24: era questa una fase liminare e potenzialmente rischiosa, connessa con la morte e la rinascita simbolica del Sole, il cui culto venne introdotto nella seconda metà del III secolo e istituzionalizzato da Aureliano con la festa del Dies natalis invicti solis, fissata il 25 dicembre. Qualche giorno dopo iniziavano le feste in onore di Giano e della dea Strenia, nel corso delle quali era pratica usuale lo scambio di doni (strenae in onore della divinità femminile, da cui il termine strenna ancora oggi in uso). Nel timore che i nuovi culti ostacolassero la diffusione del cristianesimo, la Chiesa romana stabilì in quella stessa data la ricorrenza della nascita di Cristo, agevolando di fatto confluenze e sincretismi tra riti pagani e festività cristiana.

Tempo di marginalità che la festa sottraeva al divenire storico, quello che lo storico delle religioni Arnold van Gennep ha definito il “ciclo dei dodici giorni” – composto da quelli compresi tra Natale e Capodanno – era un periodo di sospensione dal quotidiano e di inversione e rovesciamento dei ruoli, quindi anche di rafforzamento dei tabu: come segnala l’antropologa E. Stefania Tiberini, nei Saturnali così come nel culto a San Nicola la ricorrenza solstiziale segnala una presenza della morte che si esorcizza nell’elargizione di offerte di doni ai bambini in ragione della loro posizione pre-sociale e pre-iniziatica, e dunque più vicina al nodo problematico della non-vita. I bambini sarebbero dunque un varco nella barriera che divide i morti dai viti, e le questue infantili – elemento ricorrente in queste celebrazioni, così come nella statunitense festa di Halloween e nel Día de los Muertos del Messico – sembrano confermare questa adiacenza della morte al mondo dell’infanzia, sancendo una relazione di complementarietà tra esistenze terrene e presenze che popolano l’aldilà.

Mediatore di questa precaria alleanza sembra farsi anche Santa Claus, corruzione olandese di Sanctus Nicolaus (ma noto nel mondo germanico come Niklaherr, Samichlaus, Sanda Klaus) e versione esportata in America dalle migrazioni dal XVII secolo: e se in Europa settentrionale e nel Nord Italia in quel periodo nell’iconografia di questo personaggio risaltano ancora gli attributi vescovili (il manto rosso, la mitra sul capo), come ha segnalato M. Belpoliti “San Nicola è anche un santo che ha molte facce, discendente dagli spiriti che accompagnano il corteo di Hellequin, il cacciatore che rapisce i bambini e guida il corteo dei morti nelle notti invernali”. In Austria Sankt Nikolaus era accompagnato da Krampus, o Knecht Ruprecht negli altri paesi germanici, essere maligno dotato di due minacciose corna sul capo, di una lingua che gli penzolava dalla bocca e di un sacco in cui imprigionava i bambini capricciosi; tratti e comportamenti comparabili ricorrono frequentemente nelle tradizioni folkloriche dell’Alto Adige e del Tirolo.

Americanizzandosi, Santa Claus perde il suo doppio negativo e con esso tutti gli attributi ambigui che in Europa lo connotano come severo garante del processo di inculturazione infantile. Storicamente, questa flessione semantica asseconda il processo di affermazione della vita privata e la crescita del ruolo economico e sociale della famiglia, innestandosi nelle prime fasi dell’industrializzazione e della formazione e consolidamento delle borghesie cittadine. Non è un caso che Santa Claus dismetta in questo stesso periodo gli antichi panni ecclesiastici per assumere le fiabesche fattezze di un vecchio barbuto e grasso, dunque icona di opulenza, serenità e benessere: così lo tratteggia nel 1863 su «Harper's Weekly» la penna del disegnatore statunitense Thomas Nast, dando un volto propriamente statunitense a quel generoso distributore di doni che già Charles Dickens aveva ritratto nel 1843 nel suo celebre Canto di Natale.

Da prodigo dispensatore di piccole gioie, Santa Claus inizia progressivamente ad assumere le fattezze di un vero dio delle merci negli anni Trenta, grazie a una campagna pubblicitaria senza precedenti che la Coca-Cola Company ideò per ovviare al divieto – generato da diversi procedimenti penali e da campagne denigratorie sulla presenza di sostanze nocive nella bevanda – di utilizzare a questo scopo immagini di bambini. Il disegnatore di origini svedesi Haddon Sundblom ipercaratterizzò il complesso di segni già allestito da Nast, creando il peculiare codice simbolico che sostanzia l’iconografia contemporanea di Santa Claus.

Più che soggiogato dall’ideologia del consumismo, Babbo Natale ne sembrerebbe dunque uno dei prodotti più riusciti. “Espressione di un codice differenziale che distingue i bambini dagli adolescenti e dagli adulti” (Lévi-Strauss, op. cit., p. 59) e mediatore dei conflitti intergenerazionali, nel processo di mutamenti e risignificazioni lungo il quale la sua identità si è strutturata egli a tutt’oggi disciplina le richieste infantili, incoraggiandone gli eccessi ma circoscrivendoli entro uno spazio temporale ridotto. Sul versante macrosociologico, sovrintendendo al protocollo festivo delle donazioni natalizie, garantisce il perdurare di questa forma occidentale di potlatch che alimenta l’industria del consumo, ma allo stesso tempo riafferma la connotazione familistica e affettiva dello scambio di beni, che rafforza la memoria sociale rendendo i beni materiali cosa diversa da quelle “stampelle a sostegno di uno storpio” che secondo la definizione di Ivan Illich sono le merci.

http://www.treccani.it/enciclopedia/percorsi/scienze_sociali_e_storia/Santa_Claus.html/, 20/12/2010.

Bibliografia

Belpoliti, Marco, Babbo d’America, «La Stampa», 18 dicembre 2001, p. 29.

Bennett, William J., The true Saint Nicholas. Why he matters to Christmas, New York, Howard Books, 2009.

Corvino, Claudio, Storia e leggende di Babbo Natale e della Befana. Origini, credenze e tradizioni di due mitici portatori di doni, Roma, Newton & Compton, 1999.

D’Apremont, Arnaud, Père Noël, Puiseaux, Éditions Pardès, 1999 (trad. it.: La vera storia di Babbo Natale, Torino, L’Età dell’Acquario, 2005).

De Gubernatis, Angelo, Storia comparata degli usi natalizi in Italia e presso gli altri popoli indo-europei, Milano, 1878 (rist. anast. Sala Bolognese, Forni, 1986).

Ebon,Martin, Saint Nicholas. Life and legend, New York, Harper & Row, 1975.

I giorni del magico. Riti invernali e tradizioni natalizie ai confini orientali, a cura di Gian Paolo Gri e Giuliana Valentinis, Gorizia, Editrice Goriziana, 1998.

Grisi, Francesco, Il Natale. Storia e leggende. Tra cronaca e poesia la festa più bella rivive attraverso il racconto degli scrittori italiani: da Jacopo da Voragine a Gabriele D’Annunzio, da Gregorio Magno a Eduardo De Filippo, da Tommaso Campanella a Italo Calvino, Roma, Newton & Compton, 2000.

Groot, Adriaan D. de, Saint Nicholas. A psychoanalytic study of his history of myth, The Hague, Mouton, 1965.

Jones, Charles W., The Saint Nicholas liturgy and its literary relationships (ninth to twelfth centuries), Berkeley, University of California Press, 1963.

Lagioia, Nicola, Babbo Natale. Dove si racconta come la coca-cola ha plasmato il nostro immaginario, Roma, Fazi, 2005.

Lévi-Strauss, Claude, Le Pére Noël supplicié, Pin-Balma, Sables, 1994 (trad. it.: Babbo Natale giustiziato, Palermo, Sellerio, 2002).

Laurentin, René, Les Ėvangiles de l’enfance du Christ. Vérité de Noël au-delà des mythes. Exégèse et sémiotique, historicité et théologie, Paris, Desclée de Brouwer, 1982 (trad. it.: I Vangeli dell’infanzia di Cristo. La verità del Natale al di là dei miti. Esegesi e semiotica, storicità e teologia, Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1985).

Luzzagni, Giacomo, Paese che vai Natale che trovi. Le tradizioni natalizie in Italia, Montemerlo, Venilia, 2002.

Maschio, Claudia, La magia del Natale nel mondo. Un viaggio fantastico attraverso tutti i continenti, Verona, QuiEdit, 2006.

Maschio, Claudia, Storia e magia del Natale. Alla scoperta di origini, tradizioni, fiabe e leggende, Verona, QuiEdit, 2005.

Miles, Clement A., Christmas in ritual and traditions christian and pagan, London, Fisher Unwin, 1913 (trad. it.: Storia del Natale. Tra riti pagani e cristiani, a cura di Laura Mazzolini, Bologna, Odoya, 2010).

Miles, Clement A., Christmas customs and traditions, their history and significance, New York, Dover Publications, 1976.

Perrot, Martyne, Ethnologie de Noël. Une fête paradoxale, Paris, Grasset, 2000 (trad. it.: Etnologia del Natale. Una festa paradossale, Milano, Eleuthera, 2001).

Renterghem, Tony van, When Santa was a shaman. The ancient origins of Santa Claus & the Christmas tree, St. Paul, Llewellyn Publications, 1995 (trad. it.: Quando Babbo Natale era uno sciamano, Giaveno, Amrita, 2000).

Sacchettoni, Carlo, La storia di Babbo Natale, Roma, Edizioni Mediterranee, 1996.

Savino, Elena, Le radici pagane del Natale, Trieste, Jubal, 2004.

Siefker, Phyllis, Santa Claus, last of the wild men. The origins and evolution of Saint Nicholas, spanning 50,000 years, Jefferson, McFarland, 1997.

Solotareff, Gregoire, Dictionnaire du Père Noël, Paris, Gallimard, 1991 (trad. it.: Dizionario di Babbo Natale, Milano, Fabbri, 1999).

Spartà, Santino, Natale. La festa più intima tra storia e folclore, Libreria Editrice Vaticana, 2009.

Wheeler, Joe L., Saint Nicholas, Nashville, Thomas Nelson, 2010.

Tiberini, Elvira Stefania, Da san Nicola a santa Claus. Un'indagine antropologica, Roma 1987.

Tiberini, Elvira Stefania, Treat or trick? San Nicola Santa Claus Halloween, Roma, 2008.

Zanoncelli, Anastasia, La vera storia di Babbo Natale, Firenze, Giunti, 2001.